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Cinque minuti di Cosentino, dagli eurosogni ai play out per la D

Cinque minuti di Cosentino, dagli eurosogni ai play out per la D

SI SA che una cosa che comincia male, due volte su tre a voler essere ottimisti finisce anche peggio. Dieci mesi fa era chiaro che l’addio improvviso di Alessandro Erra, maturato in pieno ritiro, preannunciava un campionato difficile, fatto soprattutto di delusioni e sofferenza. Così è stato. Il Catanzaro ha lottato tutto l’anno per la salvezza inseguito dallo spauracchio della serie D (qua sopra segnalavo il pericolo già dopo tre giornate), tra un esonero e l’altro, decine di formazioni diverse, perenni oscillazioni tattiche e svariate scelte tecniche. Sul più bello (e non prima di un incerto mercato di riparazione) si è riaffidato ad Erra. Già, proprio lui, quello che ad agosto lasciava una squadra non proprio costruita secondo sue precise indicazioni, e proprio con lui in panchina il Catanzaro finisce la cosiddetta regular season al terzultimo posto e va dritto allo spareggio play out. Contro la Vibonese, ad animar un fraterno scontro fra corregionali disperati diviso tra andata (il 21 maggio al Ceravolo) e ritorno (il 28). Era iniziata male, è finita peggio. Nella stagione che offre una griglia play-off allargata a dismisura, i giallorossi scrivono una delle pagine più tristi della loro lunga storia e rischiano di scivolare fra i dilettanti.

Giuseppe Cosentino

PUNTO E BASTA La storia, appunto. Quella firmata dalla famiglia Cosentino è prossima al punto e basta. La contestazione coinvolge ormai tutta la tifoseria e la media stagionale registrata al Ceravolo (1.500 circa, abbonati compresi), tradotta in soldoni, è un disamore generale e asfissiante. Gli ultimi tre anni rivisti adesso sembrano una discesa libera verso l’inevitabile separazione. I rapporti con i tifosi sono cambiati inesorabilmente man mano che il progetto iniziale (la B in cinque anni) si è trasformato in un mediocre tirare a campare, perché questo oggi sembra il dopo Ortoli-Brevi, tanto per cercare di fissare un riferimento certo a quanto di buono fatto dall’imprenditore di Cinquefrondi. Un incerto “jendu videndu” (si direbbe dalle nostre parti) che oggi pare voglia dar seguito idealmente a quei “5 minuti di serie A” nei quali il presidente aveva compresso un mondo intero di sogni, ricordi e ambizioni. Un modo un po’ troppo superficiale e riduttivo, per dire che a Catanzaro dovremmo stare tutti con i piedi saldati all’asfalto e prendere per buono quello che arriva, con buona pace del nostro sia pur glorioso passato di stampo calcistico. È così che la interpretai al momento e così il vulcanico imprenditore l’ha concettualizzata ogni volta che ci ho parlato. Quello di innaffiare d’umiltà la piazza giallorossa l’ho trovato sempre un intento nobile e costruttivo ma va fatto con i toni giusti, altrimenti sono danni, danni seri. L’inizio del declino, l’apertura della stagione della precarietà. Una sparata a cuor leggero in faccia a una tifoseria notoriamente legata alle proprie tradizioni con piglio radicale, gelosamente, tenacemente attaccata a una storia che si continua a tramandare di generazione in generazione col dovuto carico di rispetto. Punto. Qua la storia non è che si può discutere così, tanto per dire, al massimo si studia e se ne scrive dell’altra. E visto che parliamo di una squadra di calcio si spera narri, se possibile, gesta memorabili e vittorie. Quello che in pratica Catanzaro s’aspettava facesse Giuseppe Cosentino: l’ambizioso, determinato, vincente, fortunato, esaltante ed esaltato unodinoi al debutto con la banda guidata da Cozza. Sei anni dopo l’entusiasmo è sparito. Non ce n’è traccia. Da Moriero a Erra, passando per l’infelice ritorno di Kamara, si contano tre stagioni di fila che oggi, numeri e classifica alla mano, possiamo definire frutti di un progetto più volte rilanciato ma concretamente fallimentare.

“PORTACI IN EUROPA!” A proposito di speranze ed esaltazioni (facili): in tanti vi siete spinti decisamente oltre quando sognavate un trionfale e rapido cammino verso l’Europa del pallone, abbagliati dal potenziale economico del signor Gicos. Gli stessi che oggi imprecano contro Cosentino erano lì a spellarsi le mani a ogni suo giro di campo, quando il presidente-salvatore, ovvero colui che “ha restituito il calcio ai catanzaresi” (cito testualmente i suoi numerosi ex sostenitori) dopo il fallimento del Football club, era il presidente che tutti sognavano e in cui tutti (oddio, quasi tutti) credevano. Il calcio però si nutre di risultati (positivi) e quando non arrivano non c’è messia che tenga. Tanto meno può bastare una gestione oculata se poi non sei in grado di costruire una squadra solida e cambi, in media, un allenatore ogni sei mesi. Giuseppe Cosentino non ci è riuscito. Troppi se, ma, forse, vorrei, non posso, troppe ripicche, rancori, delusioni. L’amore sbandierato per anni? Fragile e umorale. Le ambizioni? Discontinue. La nuova palazzina per tribuna stampa e spogliatoi, il nuovo campo B e tutta la stucchevole querelle che si portano dietro? Inutili. Beh, pazienza. La storia lo ricorderà comunque, la nostra storia, insieme ai protagonisti della sua esperienza a due facce. Quella sorridente dei primi tempi e quella musona, incazzata e rassegnata che adorna la stretta attualità. Ricorderemo sempre questi cinque minuti di Lega Pro conquistati insieme e a denti stretti. Ma non c’è più nessuna Europa da sognare, nessuna B da rincorrere. La reception della serie D ci attende.

Ivan Montesano


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