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Tap, lo sfregio che sta subendo il Salento

Tap, lo sfregio che sta subendo il Salento

Bisogna fare un bagno nel mare di Torre dell’Orso o a Castro per capire lo sfregio che sta subendo il Salento. Qualche tempo fa, grazie a Luigi Valenziano, fratello genoano salentinizzato e maniscalco del suono digitale, ho visitato i luoghi che saranno attraversati dalla TAP, la Trans Adriatic Pipeline, il grosso tubo che dall’Azerbaigian porterà il gas in Italia. A differenza della costa tirrenica cosentina, il Salento non è stato ancora violentato dalla cementificazione. Ecco perché ogni anno richiama milioni di turisti. In questi giorni i salentini stanno facendo quel che i nostri genitori avrebbero dovuto fare, da Praia ad Amantea, tra gli anni settanta e ottanta del ‘900: invece di comprare e vendere case costruite sulle spiagge, e rendersi complici della speculazione, sarebbe stato più opportuno mettersi davanti alle ruspe e agli escavatori che hanno devastato i torrenti e saturato il territorio. Oggi è inutile piagnucolare dinanzi al mare inquinato, formare appassionate catene umane sulle spiagge, scattare foto alle chiazze fognanti per spedirle ai media mainstream o caricarle sui social. Ormai il danno è fatto. Il nostro mare è malato incurabile. Quello del Salento invece no. Di certo il gasdotto TAP ne deturperà il paesaggio e le potenzialità attrattive. Ma il problema principale forse non è neanche questo.

Gli strateghi del PD difendono l’opera, blaterano del progresso inarrestabile e della necessità di importare gas “pulito”. Ecco, è proprio quest’ultimo aggettivo a suonare paradossale. Cosa c’è di “pulito” in un accordo stipulato con un personaggio come il presidente azero Aliyev? Lo spiega Milena Gabanelli in una formidabile puntata di Report: pochi sanno che questo signore sarebbe tra gli inventori della “diplomazia del caviale”. Nel febbraio scorso il tribunale di Milano ha rinviato a giudizio l’ex deputato dell’Udc e presidente del Ppe nel Consiglio d’Europa Luca Volontè con l’accusa di riciclaggio. Secondo gli inquirenti, oltre al caviale avrebbe ricevuto 2 milioni e 390mila euro dall’Azerbaigian “per votare contro il rapporto stilato dal deputato tedesco Christoph Strasser sui prigionieri politici azeri, che includono dissidenti e giornalisti”. Il dossier è stato bocciato dal Consiglio d’Europa. E non è tutto. Nell’aprile 2016, l’Azerbaigian ha scatenato a sorpresa un attacco militare contro la repubblica del Nagorno-Karabakh, da sempre al centro di un estenuante e sanguinoso conflitto con l’Armenia. La prima cannonata è partita poche ore dopo la diffusione della notizia di un coinvolgimento della famiglia di Aliyev nell’affare Panama papers, il megascandalo scoppiato quando sono saltati fuori i documenti custoditi presso lo studio legale panamense Mossack Fonseca, attestanti i depositi segreti di denaro che politici, governanti e faccendieri straricchi, hanno costruito negli anni per sfuggire ai controlli statali.

Dunque una vera e propria guerra, con centinaia di morti, civili decapitati, violazioni dei diritti umani, e gli osservatori internazionali che concordano su un sospetto: Aliyev avrebbe scatenato questo attacco per distogliere l’attenzione generale dal caso Panama papers. È questo il soggetto con cui hanno stipulato accordi i governi di centrosinistra. In nome di tali interessi, le forze dell’ordine stanno manganellando gli attivisti che si oppongono all’espianto degli ulivi nelle zone interessate dal passaggio della TAP. La speranza è che in Salento, come già avvenuto in Val Susa sul TAV e in Basilicata contro le scorie radioattive, la protesta si estenda all’intera popolazione. A quel punto non basteranno più i mezzi blindati del democraticissimo Minniti. Il ministro non sfuggirà alla tentazione di intensificare l’uso della violenza statale per soffocare una legittima protesta. Ed emergerà con inconfutabile chiarezza che, se paragonati a lui, Putin ed Erdoğan sembrano le reincarnazioni di Gandhi.


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