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Bioenergia mon amour

Bioenergia mon amour

CATANZARO – Energia rinnovabile oppure inquinante? Il dilemma è impresso nella mente degli abitanti di Carlopoli, Bianchi, Soveria Mannelli, Decollatura. Da quel 10 maggio dello scorso anno, quando la Regione Calabria diede il nulla osta alla costruzione di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte biomassa nel Comune di Panettieri.

Ecosistema addio?

Nel mentre, il tempo qui scorre lento. Tra il verde dei monti, orti aulenti e boschi sconfinati. Vi si trovano ancora pastori e contadini che producono i cibi di una volta, prima fra tutte la Patata della Sila Igp. Siamo nell’area del Reventino, massiccio montuoso a metà tra le due coste, con panorami che spaziano sino alla Sicilia e al Pollino, alberi secolari, gole e canyon, cascate e calanchi, monumenti di roccia, borghi solitari ed arroccati. Dove gli antichi segni dell’uomo resistono nonostante tutto: rovine di abbazie, rifugi di contadini e pastori, sentieri e mulattiere.

Ma questa biodiversità è messa a repentaglio dalla costruenda centrale a biomasse. E qui hanno tutti paura che nulla sarà più come prima. Una struttura dalle notevoli dimensioni (14 Mw elettrici). Che dovrebbe consumare 130 mila tonnellate di legno per poter funzionare. Già, ma dove reperire il legname necessario se persino nel Programma di Sviluppo Rurale (PSR 2007-2013) è scritto che non vi sono le biomasse occorrenti per far funzionare gli impianti esistenti? Quali le conseguenze sul territorio di un impianto che divorerebbe i boschi esistenti, con automatico dissesto idrogeologico, depauperamento delle risorse naturali e paesaggistiche in un comprensorio dall’innata vocazione turistica? Quali gli interessi della criminalità organizzata e delle cosiddette ‘ndrine del legno? Quali le ricadute occupazionali sulle attività ricettive che verrebbero danneggiate dalla messa in esercizio della grande centrale termoelettrica? Quali gli effetti sulle attività agricole dalle emissioni inquinanti che potrebbero compromettere la qualità e la commerciabilità dei prodotti agricoli? Tante domande, nessuna risposta. Almeno dalle istituzioni competenti. Nemmeno dopo le interrogazioni parlamentari e le interpellanze regionali a iosa presentate. E, così, gli abitanti di questi minuscoli borghi, lungo i crinali tra le province di Catanzaro e Cosenza, hanno deciso che non era più il momento di aspettare. E hanno fatto da soli, costituendo il Comitato per il no alla centrale di Panettieri che, insieme ai già attivi Forum del Reventino e Forum Ambientalista, porta avanti da un anno la lotta. “Una centrale di queste dimensioni – spiega al manifesto il portavoce Saverio Gigliotti – comporterebbe la totale destinazione del patrimonio boschivo del nostro comprensorio per i suoi consumi. Sono concreti i rischi di dissesto idrogeologico, provocati dalle enormi quantità di bosco che verrebbero tagliate. Un inverno di frane e gravissimi danni alle strade di montagna sembra non aver insegnato nulla”. Ma il problema che arrovella tutti è l’impatto sulla salute. Sul punto, Ornella Manferoce di Medici per l’ambiente è categorica: “Le diossine emesse dalla centrale sono sostanze in larga parte riconosciute come cancerogene di classe 1. Le micro e nano polveri, poi, per le loro dimensioni non riescono ad esser filtrate nell’organismo umano e penetrano attraverso il torrente circolatorio nei diversi organi producendo infiammazioni e, nel tempo, degenerazioni tumorali”. In effetti, le emissioni di polveri sottili e, ancor di più, di nano polveri, di ossidi di azoto, di ossidi di carbonio e di sostanze cancerogene quali benzene, formaldeide, diossina sarebbero devastanti. Per non parlare delle ceneri volanti contenenti cadmio, cromo, rame, piombo e mercurio.

Tutte queste criticità riempiono un’ampia letteratura scientifica che comincia a focalizzare il problema della combustione delle biomasse e che si sofferma non solo sugli effetti delle inalazioni delle sostanze ma anche sulla concentrazione di agenti nocivi nei territori e, quindi, nella catena alimentare. Incombe, poi, lo spettro del combustibile da rifiuto. Con cui, data la vaghezza del termine biomassa, la centrale rischia nei fatti di trasformarsi in inceneritore di rifiuti industriali ed urbani incredibilmente assimilati dalla normativa italiana alle biomasse.

I comitati fanno, pertanto, appello alle istituzioni ad esser chiare e trasparenti e lanciano una mobilitazione straordinaria il prossimo 2 aprile con un’assemblea pubblica a Decollatura. Contro un progetto che, avulso dal territorio, porterebbe vantaggi (e profitti) solo alla società lombarda che lo realizzerà, lucrando sugli incentivi statali e con un bassissimo ritorno occupazionale. Ma quella di Panettieri non è la prima nè sarà l’ultima centrale a biomasse in Calabria.

Bioenergia, che passione!

Dopo la lunga stagione dei progetti industriali che hanno seminato solo rottami, veleni tossici e fallimenti, nella punta dello Stivale adesso impazzano i progetti di centrali a biomasse e biogas che invadono i corridoi delle istituzioni preposte al rilascio delle autorizzazioni. A Lamezia si pensa di collocarle nell’area ex Sir. A Castrolibero, vicino Cosenza, a poche decine di metri da un quartiere residenziale e da una scuola. I comitati lanciano una manifestazione di protesta per la fine di aprile. A Maierato, nel vibonese, con un consumo annuo stimato in 180.000 tonnellate, il Consorzio Legno Calabria si è già impegnato in relazione alla fornitura di 220÷250.000 tonnellate all’anno di biomasse vergini di origine forestale.

Eppure, le centrali già operanti non sono poche. A Rende ce n’è una che produce con una potenza di 14,3 MW lordi (12 netti) e appartiene alla società Actelios (gruppo Falck). A Crotone viaggia a 22,5 MW lordi (20 netti) ed è di proprietà della Biomasse Italia. Venti chilometri più a nord, a Cutro, è operativa la società E.T.A. (gruppo Marcegaglia) che vanta 16,5 MW lordi (14 netti). Di recente è cessata l’attività a Strongoli, sempre nel crotonese, che produceva 46 MW lordi (40 netti) e apparteneva alla Biomasse Italia, ma la riapertura e la paventata riconversione sono oggetto di discussione con i cittadini in questi giorni. Martedì scorso si è tenuta l’ultima iniziativa organizzata dal comune di Strongoli e dalla società. Al censimento di questi impianti si dovrebbe aggiungere la centrale di Rossano appartenente alla società Guascor, della potenza di 4,2 MW lordi (3,5 netti), ottenuta mediante la gassificazione della sansa esausta.

A parere di Giorgio Matteucci, ricercatore del CNR, “le biomasse sono una risorsa rinnovabile, quindi potenzialmente positiva da utilizzare. Il problema è la scala degli impianti proposti ed il fatto che si ricerca il ritorno economico dai certificati verdi e dagli incentivi, piuttosto che la sostenibilità”. In un lungo e dettagliato documento, Francesco Saccomanno del Forum Ambientalista e Ferdinando Laghi di Medici per l’Ambiente pongono la domanda: “È possibile individuare ulteriori bacini di biomassa in Calabria, oltre a quelli già sfruttati, in grado di soddisfare il fabbisogno di nuove centrali a costi sostenibili e nel rispetto dell’ambiente?”. Secondo Saccomanno, “la potenzialità di assorbimento degli impianti sinora funzionanti è di 2,25 milioni di tonnellate annue, un volume ben superiore alle attuali condizioni dell’offerta regionale, per come dichiara ufficialmente la stessa regione che, ciò nonostante ciò, illegittimamente (ad avviso anche di tutti gli enti che, a cominciare dal Parco Nazionale del Pollino, hanno presentato ricorso al Tar) ha autorizzato l’attivazione della centrale del Mercure. Altre 500.000 ton/annue”.

Attacco alla Sila

Nelle ultime settimane sentono “puzza di bruciato” anche le associazioni Altura, Italia Nostra, LIPU, WWF, Man, Enpa, CNP e Wilderness-Salerno. In una lettera aperta denunciano il fenomeno dei numerosi tagli boschivi che avvengono all’interno del Parco Nazionale della Sila e segnalano la necessità di “impegnarsi ad ogni livello, affiancando anche le istituzioni preposte alla tutela, in attività ed iniziative finalizzate a difendere l’immenso patrimonio forestale della Calabria, ed in particolare della Sila”. Lo straordinario valore della biodiversità silana è confermato dalle innumerevoli pubblicazioni di Alessandro Verta, studioso ed ex forestale, scopritore tra questi boschi di piante rarissime e alberi antichi.

E che la Sila sia una zona già disboscata (e vistosamente danneggiata), lo ha confermato di recente anche Francesco Curcio, comandante provinciale della forestale. Ma a rischio, continuando di questo passo, con il totale disinteresse alla salvaguardia del patrimonio paesaggistico e boschivo da parte della Regione Calabria e delle amministrazioni provinciali e locali, sono tutti i boschi calabresi a partire da quelli del Pollino. Saccomanno non ha dubbi: “in gioco ci sono interessi imprenditoriali che spesso non vanno per il sottile nel selezionare fornitori ed operatori del settore e che, in ogni caso, non riescono a respingere gli interessi della ‘ndrangheta”. L’argomento era  stato accennato nel 2008 nella relazione della commissione antimafia presieduta da Francesco Forgione. Già nel 2001 in un’interrogazione parlamentare, Giovanni Russo Spena (Prc) aveva denunciato gli interessi della criminalità a proposito del ferimento di un imprenditore boschivo avvenuto a Decollatura.

E così dopo l’eolico, l’idroelettrico, anche la fonte a biomassa comincia a farsi business. Mentre il legno assorbe l’odore acre della ‘ndrangheta.

Servizio realizzato da Claudio Dionesalvi e Silvio Messinetti

Pubblicato su “Il Manifesto”, l’1 aprile 2011


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