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Vent’anni fa nasceva il csoa Gramna

Vent’anni fa nasceva il csoa Gramna

Era il 21 gennaio del 1990 quando a Cosenza fu occupato il cinema Italia, il primo centro sociale autogestito della Calabria. "Eravamo una trentina di persone. C’erano quelli di piazza Loreto, i più creativi e sognatori. C’era qualcuno sopravvissuto agli anni Ottanta. E c’eravamo noi, la Nuova Guardia degli Ultrà Cosenza a cui la città stava stretta".

Il 21 gennaio 1990, venti anni fa, nasceva il primo Centro sociale autogestito della Calabria: il Gramna. Faceva freddo e le giornate cominciavano ad allungarsi, quando occupammo il cinema Italia. Eravamo una trentina di persone. C’erano quelli di piazza Loreto, i più creativi e sognatori. C’era qualcuno sopravvissuto agli anni Ottanta, assediato nella mentalità delirante del post comunismo apocalittico. E c’eravamo noi, la Nuova Guardia degli Ultrà Cosenza. La curva Sud non ci bastava più. La città ci stava stretta, la sentivamo soffocante, appiccicata sulla nostra pelle. Volevamo essere ultrà anche da lunedì a sabato. Occupare un edificio abbandonato, riempirlo di vita, ci sembrava l’unica possibilità che avevamo per capovolgere e ricostruire la grigia Cosenza in cui eravamo cresciuti.

In città, dal 1986 le varie bande della malavita avevano concordato una tregua, dopo la guerra durata sette lunghi anni. L’unico luogo di ritrovo per i giovani era piazza Kennedy. L’unico locale aperto dopo le 21 il Free Pub. L’unica energia viva pulsava dietro gli striscioni colorati degli Ultrà Cosenza. La mensa dei Poveri era la nostra sede. Piero e padre Fedele due inesauribili punti di riferimento.

Per le strade si vedevano tre o quattro metallari, una manciata di dark, pochi punk ingialliti, qualche brutta imitazione. Brillavano Lugi e Ramon con la musica rap e i graffiti. I più odiosi nella scena giovanile erano i paninari con quei Raiban sempre in vista e lo zainetto Invicta. Perlopiù si trattava di figli di papà, ma anche i poveracci erano capaci di saltare i pasti pur di sfoggiare il Monclair e le Timberland. Sentivamo parlare della Ciroma che stava per nascere, però all’epoca era più un progetto che una radio.

Nient’altro. Ah, sì, sulla scena musicale arrabbiata c’erano i Nerds In Acid. La loro voce, Giammarco, era già un poeta. In “Pizza life” cantava la maledizione di un’adolescenza sprecata in una città periferica. Ogni tanto urlava a squarciagola dal palco: “Centri Sociali Autogestitiiiiiiii”. Noi non sapevamo nemmeno bene cosa fossero. Però l’estate prima, in televisione, avevamo visto le immagini degli occupanti del Leoncavallo a Milano, che difendevano lo storico spazio a suon di molotov e sampietrini. La polizia li sgomberò. Loro rioccuparono. Fu una “chiamata alle armi” per tanti, in tutta Italia. Gli anni Settanta erano lontani, mitici, irraggiungibili, ma il conflitto col potere si poteva ancora fare.

In pochi mesi la penisola si riempì di centri autogestiti. E noi volevamo far parte di quell’ondata rigeneratrice e ribelle. Il movimento studentesco della Pantera, nelle università, accese ulteriori speranze. Intanto il muro di Berlino cadeva e finalmente tramontava con esso il vecchio Pci che noi, nonostante la vicinanza ai suoi militanti locali, da sempre vedevamo come estraneo e nemico, perché aveva mandato intere generazioni di sognatori in galera, all’estero o al macello.

A Cosenza circolava a singhiozzo una buona marijuana proveniente da Rovito, dal vibonese, dal Tirreno e dalle zone intorno a Reggio. Niente a che vedere con la robaccia pressata, resinosa e compatta che si fuma oggi. Il fumo era raro. Le ragazze avevano il viso tondo e le sopracciglia folte. Ne trovavi in giro ancora persino qualcuna con le guance rosse. Portavano capelli cotonati, stivaloni e giubbotti gonfi.

Per il resto, nonostante noi ci divertissimo come pazzi, l’aria intorno era irrespirabile.

Nel luglio ’88 io e Dinuzzo eravamo andati in Spagna. Al ritorno il treno ci sbarcò a Paola. Non avevamo più una lira e facemmo l’autostop. Per una giornata intera, nessuno ci diede un passaggio. Arrivati a casa, capimmo la ragione. Pochi giorni prima, bestie dalle sembianze umane avevano violentato e ucciso Roberta Lanzino. Il terrore si diffuse nelle coscienze di mamme e figli di questa terra.

Nel novembre ’89 morì in circostanze misteriose Donato Bergamini, calciatore del Cosenza. Il sospetto diffuso che lo avessero ammazzato, rendeva l’atmosfera ancora più cupa. Nemmeno i miti potevano sentirsi al sicuro!

Non riuscivamo a calpestare l’asfalto cosentino, senza avvertire un profondo moto di insoddisfazione. Ci vedevamo isolati, rassegnati come il vecchiume che ci circondava. Prendemmo in affitto un magazzino a Torre Alta per farne la nostra sede. Volevamo usarla come luogo d’incontro e preparazione di una possibile occupazione. Andammo in giro a fare il censimento degli stabili abbandonati. Ma una notte, a distanza di due settimane da quando l’avevamo aperta, qualcuno incendiò la nostra sede. Fu il punto di non ritorno. Chiamammo i pochi altri esseri pensanti rimasti in città e annunciammo che presto avremmo occupato. Le riunioni preparatorie si svolsero nel magazzino di Pippo che è stato, e sarà per sempre, la persona più dolce e simpatica che sia vissuta a Cosenza nel ‘900.

La mattina del 21 gennaio 1990, quando entrammo nel cinema Italia, all’interno trovammo un paio di derelitti impiegati di una cooperativa che una volta a settimana proiettava cartoni animati. In tutta Cosenza non c’era un solo bambino disposto a vedere quelle pellicole vecchie e malandate. Neanche gratis! I due impiegati erano lì, imboscati, dimenticati dal sindaco, da Dio, da tutti.

“Buon giorno, dovete uscire, questo posto è abbandonato. Noi lo occupiamo per restituirlo alla città”. Quelli non si persero d’animo e provarono a metterci paura: “Guardate che chiamiamo la polizia…”. Alzammo la cornetta, gliela mettemmo in mano: “Prego, la chiami”. Quando arrivarono gli agenti digos, buttammo fuori pure loro. E iniziò la settimana più bella della nostra vita. Musica, ribellione, nottate, assemblee, protesta, video, nuove amicizie, volantinaggi! Insomma, un’altra vita. Poi lo sgombero, una nuova occupazione, sei mesi di manifestazioni, i processi, le condanne, l’assegnazione dell’ex Villaggio del Fanciullo a Caricchio.

Da allora il Gramna è morto e risorto diverse volte, finché un giorno, tanti anni dopo, ha deciso di sparire per sempre. Ma come tutte le navi fantasma, ogni tanto riemerge e solca il mare del nulla in cui anneghiamo ogni giorno. Il riflesso delle sue vele rosse rivive nella risata dei pazzi, nei lampi degli artisti, nella rabbia dei ribelli.

 

da Appunti di Sopravvivenza

sui 105,700 di Radio Ciroma

www.ciroma.org


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