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La storia di Carlo, un cagliaritano in Brasile

La storia di Carlo, un cagliaritano in Brasile

Gli italiani sono da sempre un popolo di emigranti, partiti alla ricerca di un sogno, di un amore, di un lavoro. La scelta di abbandonare tutto per provare a cambiare vita non è certamente facile. Cercheremo con questa rubrica di farvi conoscere storie, emozioni ed alcuni spaccati di vita dei quei nostri connazionali che un fatidico giorno hanno detto…vado!!

Da Rio De Janeiro, il nostro corrispondente Emanuele Panci

la storia di Carlo

La prima storia che vi vogliamo raccontare è quella di Carlo, un Cagliaritano doc, come tiene a precisare lui con un sorriso raggiante. Oggi Carlo vive in Brasile nella città di Rio de Janeiro e da circa quattro anni possiede e gestisce un chiosco sul lungo mare del quartiere di Recreio, chiamato “pedacinho d’Italia”. La sua avventura nel paese tropicale risale al lontano 1991: Carlo allora era un calciatore appena ventenne e decise di fare una breve vacanza a Rio de Janeiro. Prima di partire non sapeva che quella vacanza gli avrebbe cambiato la vita.

Quando è stato in Brasile la prima volta?

Arrivai nell’estate del 1991 e fu amore a prima vista. Mi sentii a casa sin dal primo giorno. L’impatto fu straordinario, a Rio mi sentivo bene, tant’è che alla fine invece di fare una breve vacanza mi fermai tre anni. Per la prima volta mi sentivo libero di essere me stesso. In Italia, infatti, c’erano (e penso ci siano ancora oggi) troppi preconcetti legati all’apparenza. Non conta chi sei ma come appari, come vesti, che macchina guidi, com’è la tua casa. In Brasile no!

Quando ha deciso che la vacanza non sarebbe terminata e che sarebbe rimasto in Brasile?

Passai un mese fantastico quindi in prossimità del ritorno credo che mancassero due o tre giorni, decisi di chiamare l’agenzia per annullare il volo. Da molti fu vista come una pazzia, io credo che fosse un passo necessario e fondamentale della mia vita.

Che cosa ha fatto in quei tre anni, come e dove viveva?

Una cosa che imparai dalla mia esperienza è che noi italiani abbiamo una marcia in più, siamo creativi e fantasiosi e quindi qualcosa riusciamo sempre a fare. Comunque per rispondere alla sua domanda, affittai una casa e mi arrangiai a fare un po’ di tutto (ride..).

Si trovava bene, si era integrato nella città, allora cosa l’ha spinta dopo tre anni a tornare?

Non c’è stata una ragione in particolare. Semplicemente non ero ancora pronto per il totale cambiamento. Poi, iniziavano anche a mancarmi la famiglia e gli amici.

È stato lontano da casa per tre anni, un periodo lungo per tutti, a maggior ragione per un ragazzo di venti anni senza grosse esperienze lavorative, quando è ritornato è stato difficile trovare lavoro?

Quando tornai, ero in discreta forma fisica e ripresi a giocare a calcio. Firmai un contratto con la Serramanna, una società dilettantistica, e trovai anche lavoro come ispettore presso l’Alleanza assicurazioni.

Di fatto era tornato alla vita di tutti i giorni, quella che aveva lasciato prima del lungo viaggio, cos’è che le mancava di Rio e cos’è che non riusciva a trovare a Cagliari?

Sì, di fatto, tornai alla routine di sempre. Avevo un buon lavoro, guadagnavo bene, diciamo che ero soddisfatto, ma non felice. A Cagliari mi ritrovai sempre a fare le stesse cose, a vedere le stesse facce, gli stessi ambienti. Rio è talmente grande e popolosa che è difficile incontrare lo stesso volto nello stesso locale per due volte consecutive. Rio, con i suoi ritmi, la sua natura e le sue abitudini, ti entra “dentro”. È una città particolare o la ami o la odi. Non ci sono mezze misure.

A quanto mi racconta aveva un buon lavoro, una vita tranquilla, come e quando è maturata la decisione di andare via e mollare tutto?

Diciamo che fu frutto di una lunga riflessione. Erano trascorsi ormai sei anni da quando ero rientrato a Cagliari e a un certo punto mi resi conto di non essere completamente felice, mi mancava qualcosa. Era una sensazione difficile da spiegare.

Quindi è stata una scelta pensata e ripensata fino a che un fatidico giorno ha detto basta?

Sì, come le dissi, non fu una decisione d’impeto, ma dopo il ritorno in Italia mi ritrovai spesso a pensare “parto o non parto” quindi nel marzo 1998, entrai in agenzia, con la ferma convinzione che di andare e ora eccomi qua.

Non aveva paura di affrontare da solo un trasferimento in un altro paese, lontano dai famigliari, dagli amici?

Lei penserà che io sia un incosciente ma paura no, non l’ho mai avuta. La città la conoscevo bene, inoltre, nei sei anni in cui ero tornato in Italia avevo messo da parte un po’ di soldi che mi davano la tranquillità e la possibilità di affrontare le prime spese in attesa di trovare qualcosa di buono.

Un paese completamente diverso dall’Italia, lontano dagli affetti, suppongo ci siano stati momenti difficili?

Difficoltà ne ebbi e ne verranno, di questo sono ben cosciente, ma fino ad ora sono sempre riuscito a cavarmela (ride..con quel sorriso di chi la sa lunga, poi tornare subito serio ndr).

Non si è mai pentito di questo trasferimento?

Pentito no, forse perché ebbi molta fortuna, nei primi mesi dopo l’arrivo a Rio, ebbi la fortuna stare nel posto giusto, al momento giusto. Ero al bar, vicino a casa mia, mentre facevo colazione, conobbi un italiano che aveva da poco acquisto un appartamento a Rio a uso investimento, e che voleva affittare. Mi proposi di rimediargli clienti e lui accettò, quella si rivelò la mia grande fortuna. Iniziai tramite amici e conoscenze varie a fare pubblicità, in breve tempo cominciai ad avere un notevole numero di richieste. All’epoca gli appartamenti a Rio costavano pochissimo con dieci, ventimila euro, potevi comprare una casa a Copacabana di 70-80 mq. Ora non basterebbero 100 mila euro. Molti italiani acquistavano casa e mi affidarono la gestione dell’affitto. In breve tempo da quell’appartamento raggiunsi la gestione di ventiquattro immobili.

Dal nulla era riuscito a crearsi una vera e propria struttura, che a quanto ho capito, andava ottimamente, perché la scelta di aprire un chiosco?

L’affitto degli appartamenti mi garantiva ottimi guadagni e un buon tenore di vita ma passavo tutto il giorno a rispondere a mail e telefono. Nel 98 parlando con un amico mi propose di acquistare questo chiosco. Dopo qualche mese decisi di tuffarmi in quest’avventura perché volevo costruire qualcosa di veramente mio. Oggi sento di aver raggiunto quello che volevo, quello che sognavo.

Tra Italia e Brasile ci sono un’infinità di differenze, qual è quella che più l’ha colpita? La cosa che più amai e amo del Brasile è la capacita di fare amicizia. Vai in un locale a bere una birra e dopo dieci minuti ti trovi a chiacchierare con perfetti sconosciuti che “l’indomani” diventano amici. Poi c’è il clima, assai più mite di quello italiano. Qui è estate anche d’inverno. Questo inverno, ad esempio, sono stati toccati i 40ª gradi. Insomma, a Rio non esiste il freddo.

Com’è oggi il suo rapporto con l’Italia? La segue nonostante la grande distanza?

Ormai vado in Italia una volta ogni tre anni. Mi fermo una quindicina di giorni, al massimo un mese. Più tempo non riesco a starci. Dopo una settimana mi viene voglia di tornare a Rio. Da qui non seguo molto quello accade in Italia. Seguo con passione soltanto il campionato di calcio, soprattutto il mio Cagliari.

Lasciamo Carlo tornare al suo chiosco, è l’ora di pranzo e cominciano a giungere le prime richieste di spaghetti ai frutti di mare con bottarga che qui sembrano essere una vera specialità.

 


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