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Dove non crescono più i pomodori…!

Dove non crescono più i pomodori…!

ROSSANO CALABRO. Sabato scorso i Verdi sono scesi in piazza per dire no al progetto di riconversione a carbone della centrale Enel. Presenti anche esponenti istituzionali e altre forze politiche. Si è inoltre riunito il coordinamento regionale contro le “navi dei veleni”, dandosi nuovamente appuntamento per il prossimo 17 luglio.

C’è una strada in Calabria che è la metafora delle immense contraddizioni di queste terre. Seicento chilometri dove vecchio fatiscente e nuovo incomprensibile convivono nel provvisorio. Un’arteria dissestata tra marciapiedi sbrecciati e tetti diseguali. Un fiume d’asfalto scadente, contornato, però, da sgargianti colori. C’è il giallo dello sparto e della ginestra, il verde dei carrubi, il rosa del rododendro e dei grappoli delle tamerici, l’azzurro dello Jonio. È la statale 106 e collega Reggio a Taranto. E a metà del cammino, da poco lasciata la provincia di Crotone e varcata quella di Cosenza, le alte ciminiere della centrale Enel di Rossano le vedi a destra stagliarsi all’orizzonte.
Costruita nel 1976, la centrale termoelettrica di Rossano, sita in contrada Cutura, era originariamente costituita da quattro sezioni a vapore da 320 MW ciascuna. Negli anni Novanta è stato portato a compimento il processo di ripotenziamento delle sezioni a vapore realizzando un ciclo combinato. L’impianto si compone attualmente di quattro unità turbogas da 114 MW. La centrale gestisce la Rete di rilevamento qualità dell’aria ed è sede del Centro di raccolta ed elaborazione dei dati che vengono trasmessi in continuo dalle 8 stazioni dislocate nel territorio in un raggio di 25 chilometri. Insomma, una centrale elettrica, alimentata a gas metano ed olio combustibile, di grandi dimensioni e di livello internazionale.

Il progetto di riconversione a carbone. Ma il 12 maggio scorso, Enel ufficializza ciò che era già nell’aria da tempo: un megaprogetto di riconversione energetica della centrale. Il progetto attiene alla realizzazione di un impianto di produzione di energia elettrica di tipo integrato pluricombustibile (carbone, gas naturale, solare e biomasse). L’investimento complessivo sarà di 1,2 miliardi di euro e prevede un’occupazione media di 750 addetti nella fase di realizzazione e di 150 nella fase di esercizio. Per il trasporto e l’utilizzo del carbone “ci si avvarrà delle tecnologie più innovative, utilizzando una nave madre che resterà ormeggiata a 5 chilometri dalla costa e navette ermetiche che trasporteranno il carbone senza dispersioni di polveri e senza consentirne la visibilità; lo scarico dello stesso avverrà sottovuoto e su nastri chiusi, che lo trasferiranno direttamente alla centrale. Il tutto avvalendosi di strumentazioni e processi che garantiscono la massima sicurezza per il territorio e per l’ambiente”.
Ma, nonostante le rassicurazioni di Enel, i dubbi e le preoccupazioni permangono specie nella galassia ambientalista. Secondo cui il progetto di Rossano altro non è che la punta dell’iceberg di una riconversione tecnologica “al contrario” che vede protagonista l’Italia. Infatti, mentre gli altri Paesi, per ridurre la dipendenza del petrolio come fonte di produzione di energia elettrica, si attrezzano con un massiccio ricorso alle energie rinnovabili, il Governo Berlusconi pensa, viceversa, ad un raddoppio secco della produzione di energia da carbone, dal 22 al 50 per cento. Ecco spiegato il progetto di riconversione di Rossano, nella Sibaritide. Un ritorno al passato, un anacronistico balzo a ritroso all’Ottocento, ai romanzi di Charles Dickens, utile forse a far risparmiare un po’ di quattrini ai gestori che potranno contare nell’immediato su un combustibile più economico ma drammatico per le tasche e il futuro dei cittadini. In barba al protocollo di Kyoto, l’Italia, infatti, continua a produrre allegramente anidride carbonica, il gas principale responsabile dell’effetto serra. E il ricorso al carbone non farà che confermare questo trend. Con l’aumento delle temperature medie, la desertificazione del suolo, la moltiplicazione dei fenomeni meteorologici estremi come alluvioni e siccità.
Venti anni fa in Calabria, la centrale a carbone di Gioia Tauro fu il banco di prova di un movimento largo e composito – associazioni ambientaliste, amministrazioni comunali, cittadini, studenti – che fu costretto a ragionare sul problema della centralità dell’energia per lo sviluppo, rifiutando modelli imposti e precostituiti e proponendosi come laboratorio per la ricerca e la formazione nel campo delle energie alternative. Oggi, sulla scia di questa esperienza ventennale, anche nello Jonio cosentino si prova a coagulare un combattivo movimento di opposizione.

La mobilitazione dei No coke. Da ormai 20 anni nella Sibaritide i pomodori non crescono più. I germogli appassiscono! Eppure in passato qui se ne coltivavano tonnellate. Difficile isolare una causa. Stringendo le spalle, la gente osserva il paesaggio e le foto di parenti e amici uccisi dal cancro. Certe inquietudini trovano ora riscontro nei preoccupanti risultati delle analisi effettuate nei siti di Cassano, Francavilla e Cerchiara, interessati dallo smaltimento illecito di scorie industriali provenienti dalla Pertusola di Crotone. I dati confermano la presenza massiccia di ferriti di zinco nell’ambiente.
Pochi chilometri più a sud, anche i Rossanesi pongono domande. Lo fanno i giovani della frazione Piragineti, preoccupati per i tanti casi di tumori registrati in quelle contrade. Su Facebook hanno dato vita al gruppo “Mattanza Rossano”. Capita pure che ogni tanto scoppino partecipate proteste. È accaduto a Bucita, contro la locale discarica. Sembravano invece sopite le tensioni che da 35 anni aleggiano intorno alla centrale Enel e al suo impatto ambientale. Ma di fronte al progetto di riconversione, tutti sono pronti a dissotterrare l’ascia di guerra. Tutti, tranne un manipolo di operai della centrale, disposti persino “a morire di tumore ed a mangiare pane e carbone” pur di conservare il posto di lavoro. Per il resto, si schierano compatti contro l’Enel ben 57 sindaci del comprensorio e 70 associazioni di categoria. Millecinquecento sono le firme legalizzate, raccolte in pochi giorni contro il piano di riconversione. Persino un consiglio comunale congiunto Rossano-Corigliano ha voluto intimare l’alt all’Enel.
Suona la carica Pietro Altavilla, del Sindacato dei Lavoratori: “Abbiamo dato vita ad un vastissimo fronte di associazioni, comitati, categorie produttive e culturali. Ci opporremo alla devastazione di un territorio ricco di storia, cultura, commercio e turismo”. Ogni estate la piana di Sibari raccoglie infatti due milioni di presenze. “Per non parlare della pesca – prosegue Altavilla – . Corigliano ospita la seconda flotta peschereccia del Mediterraneo. Il suo porto con fatica sta cercando di decollare anche nel settore commerciale e nel turistico. Ma nei progetti Enel, sarebbe al servizio della centrale e delle navi carboniere con conseguente traffico di polveri di carbone e gesso”.
Tra i più attivi, Fabio Menin, dell’associazione Amici del WWF Sila-Greca: “La Calabria del nord-est – spiega Menin – respinge questo tentativo neocolonizzatore. Unita, si schiera per il turismo, l’agricoltura e l’energia compatibile”. Riconvertita a  carbone, la centrale produrrebbe 800 Megawatt, cioè meno di quanti ne sfornava prima. La spesa per chilowattora, esclusi i costi sociali, si dimezzerebbe. A parità di quantitativo, produrre elettricità bruciando carbone, costa la metà del sistema a gas. È concreta l’analisi dell’avvocato Amerigo Minnicelli, portavoce del Comitato per la Difesa e lo Sviluppo Sostenibile della Sibaritide: “In totale, entro il 2011 sarebbero 7000 i Megawatt di corrente installata sul territorio regionale, proveniente da fonti rinnovabili, convenzionali, e dal surplus della Sicilia (dati Terna). Sappiamo – spiega Minniceli – che in Calabria il consumo consolidato è tra 600 e 700 Megawatt. A che serve allora portare il carbone in questa regione? È utile alla strategia energetica o è soltanto un business per l’Enel? Di sicuro non incrementerà i posti di lavoro. Al contrario, li farà perdere. Nonostante la nostra mobilitazione, non abbiamo ancora ricevuto neanche una telefonata dall’Università di Arcavacata. Forse i docenti aspettano le consulenze dell’Enel?” Il comitato studia anche le mosse della Regione. La nuova giunta ha fatto sapere che rispetterà la volontà delle popolazioni locali, ma subito dopo ha avviato la revisione del Piano Energetico Ambientale Regionale. Visti gli interessi in campo, il nuovo PEAR potrebbe sempre ospitare un angolino nero riservato al carbone!

Pubblicato su “il manifesto” – domenica 13 giugno 2010

Articolo realizzato in collaborazione con Silvio Messinetti

 


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