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Bruno Pace, “L’allenatore che ci ha fatto sognare”

Bruno Pace, “L’allenatore che ci ha fatto sognare”

Bruno Pace. Per parlare di Bruno Pace, si corre il rischio di cadere nella retorica, del già detto, il rischio concreto di tuffarsi inconsapevolmente nel ricordo che sa di nostalgico. Perché Bruno Pace evoca i momenti più belli di una squadra che vinceva divertendo, perché Bruno Pace era l’imponderabile applicato al calcio, perché con Bruno Pace (per la prima volta, credo) potevi rinunciare allo stopper e giocare con soli tre difensori. E poi, perché si aveva la netta sensazione che quel magnifico Catanzaro – il più bello della storia – fosse in grado di battere chiunque. Proprio come oggi brillantemente fa l’Atalanta di Gasperini; una squadra, quella giallorossa che, almeno in apparenza, non sembrava avesse punti deboli. Probabilmente sbilanciata in avanti, ma sorretta da un centrocampo che creava e distruggeva con eguale efficacia. Come dimenticare, infatti le percussioni eleganti di Sabato, il lento incedere di Braglia, la straordinaria forza d’urto di Celestini (una vita da mediano!), il lavoro oscuro, ma prezioso, di Boscolo. E poi, la classe cristallina di Mauro, la rapacità letale di Edy Bivi, la forza d’urto di Borghi. Per non parlare della fisicità di gente come Sabadini e Ranieri e l’eleganza di un libero coi fiocchi come Santarini, che riusciva a proteggere la porta di paratutto Zaninelli dalle incursioni avversarie. Se parli di Bruno Pace, poi, non puoi non menzionare quella maledetta semifinale di Coppa Italia con l’Inter, vinta 3 a 2, ma non sufficiente per l’accesso ad una finale, col Torino, che sembrava alla portata delle aquile giallorosse. Infatti, a tutti sarà andato indigesto quel l’incredibile palo di Sabato, che diede luogo alle più colorite imprecazioni di quel giorno Pasquale. Bruno Pace, diciamola tutta, non ha avuto la fortuna che meritava in un mondo, quello pallonaro, che riesce a bruciare i suoi eroi in men che non si dica. Mi piace ricordarlo con la sua chioma fluente, l’impermeabile bianco, il maglione a collo alto e quell’aria da guascone che gli stava proprio a pennello. Ci ha fatto sognare, ci ha fatto innamorare di uno sport che era già bello di suo, ci ha insegnato che solo con il gioco potevi competere con le squadre più blasonate, ci ha regalato tanti momenti magici tra i quali mi urge ricordare quei cinque ragazzini della nostra amata squadra del cuore vestire contemporaneamente la maglia azzurra. Era quella dell’Under 21, ma a noi sembrava la finale di Coppa del Mondo.

Riposa in pace, è il caso di dirlo, grande condottiero di un calcio che fu.

Antonio Ludovico


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