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La civiltà dei giovani sudditi!

La civiltà dei giovani sudditi!

Una delle operazioni diaboliche di questo governo è quella di costruire individui abituati a un contesto di povertà, addottrinati all'idea che può andare tutto peggio, che occorre accontentarsi delle briciole, che con problemi storici e annosi occorre convivere e non combattere. Dal rapporto della Cgil, il commento di "Ulixes"

“Codesto solo oggi possiamo dirti ciò che non siamo ciò che non vogliamo”.

È la celebre poesia di Montale quella a cui pensiamo, nel leggere le prime conclusioni del rapporto sui giovani calabresi redatto dalla Cgil regionale.
 
Il buio d’incertezza e incomunicabilità segna la vita dei giovani calabresi e italiani. Come nella poesia di Montale, i giovani intervistati tutto posseggono fuorchè verità. Il lavoro quale desiderio primo sembra esprimere non tanto la ricerca spasmodica di un lavoro in sé quanto il desiderio di esserci e di contare. I giovani intervistati non hanno parole per esprimere ciò che vogliono, sanno solo che quello che esiste è orribile e li annichilisce. È un inseme di cose e di non cose, in cui essi non hanno alcun posto, se non la propria televisione, la propria famiglia, la propria paura.
 
Questo è un drammatico paese per vecchi, che non sa rapportarsi alle energie nuove se non con paternalismo o strumentalismo. Il bivio è drammatico e cruciale. Il quadro che viene fuori pone due strade possibili al futuro di questa generazione: un mondo nel quale trovare posto e realizzazione, oppure un futuro da sudditi.
 
La storia ci insegna che un universo di incertezza e precarietà può dar luogo a grandi cose, a grandi sconvolgimenti ma, purtroppo, anche alla costituzione di un manovrabile e accomodante esercito di sudditi.

Un’impressione orribile è che una delle operazioni diaboliche di questo governo sia quella di costruire giovani-sudditi abituati a un contesto di povertà, mentalmente addottrinati all’idea che può andare tutto  peggio, che occorre accontentarsi delle briciole, che con problemi storici e annosi occorre convivere e non combattere. E i segni di questa operazione li vediamo giornalmente, purtroppo, quando i nostri amici iperqualificati sono ormai abituati all’idea di lavorare senza essere pagati, perchè la legge lo permette, ed è pronta a rivendicare la bontà di un datore che ti paga a 400 euro al mese, dal momento che l’alternativa è zero.
 
Se questa forma di pensiero debole prende piede, molti talenti emigreranno, e a restare sarà un popolo di giovani cui il contesto, la televisione e una classe dirigente di vecchi, non saprà insegnare se non l’arte dell’elemosina e della pazienza. È cosi che può nascere un Paese povero, di seconda fascia.
 
È questo il bivio cruciale cui non solo la Calabria, ma l’Italia intera si trova a far fronte.
 
Una lunga riflessione ci porta a  ritenere che questo bivio sia superabile nella prospettiva di una vera rigenerazione, soltanto tenendo fermi due punti, due obiettivi chiari: la qualità da un lato e il dialogo intergenerazionale dall’altro. In questi due concetti risiede l’unica strada verso la speranza. Proviamo a specificarli.
 
Il primo: l’accento sulla qualità. Parliamoci chiaro: in questo mondo dove la competizione è sempre più stringente e l’intero universivo economico occidentale soffre la pressione delle economie emergenti, lo sviluppo e la crescita, e quindi la creazione di lavoro e opportunità, non si inventano né si improvvisano, ma passano solo se la società intera, e in particolare la classe dirigente politica, recepisce l’idea che il merito e il talento devono diventare parole d’ordine di ogni processo selettivo e decisionale. Vale per la formazione della classe dirigente, politico ed amministrativa, che deve essere quanto più formata, aperta e internazionale possibile; vale per i progetti e le idee da portare avanti. Qualità delle persone e delle idee sono attributi non da sbandierare, ma da riempire con contenuti concreti; clientelismi e nepotismi, conservatorismi e paternalismi, tanto nella gestione della cosa pubblica che dell’attività privata, hanno quale capolinea certo il deserto, il nulla, la morte.
Solo un percorso di sviluppo improntato sulla qualità ha la possibilità di bloccare la fuga dei talenti e quindi di rimarginare l’emorragia di forza creativa e critica da mettere a disposizione del nostro progresso sociale.
 
Secondo punto. Il dialogo intergenerazionale. Vogliamo essere netti sull’interpretazione di questo punto. Nettissimi. Quando due persone o due entità si incontrano e condividono, ognuno di essi rischia qualcosa e mette a disposizione qualcosa. Una sorta di do ut des. Ebbene, noi crediamo che la generazione dei ventenni e trentenni attuali, nell’ambito del rapporto con la generazione che l’ha preceduta, abbia già dato tanto e forse troppo. Si è messa in gioco ben prima di nascere. È ormai chiaro che la generazione degli attuali cinquantenni e sessantenni ha vissuto ben sopra le proprie possibilità e ha scarsamente guardato al futuro dei propri figli. Le conseguenze sono un debito pubblico che oggi impedisce ogni piano di investimento pubblico consistente, e un ordinamento che troppo spesso difende i privilegi di chi ha già. Basti pensare, con riferimento a quest’ultimo punto, agli ordini professionali, alle leggi che regolano la ricerca e la formazione universitaria, al diritto del lavoro dove i precari hanno ben poche speranze di contare qualcosa nel gioco degli interessi. Ecco, dialogo intergenerazionale significa, per chi scrive, che la generazione dei cinquantenni e sessantenni cominci a mettersi in gioco, esattamente come ha costretto noi ventenni e trentenni a metterci in gioco ben prima della nostra nascita (e a mettere in discussione la nostra idea di lavoro, di famiglia, di localizzazione geografica). Il che certamente non vuol dire, per loro, adeguarsi alla nostra stessa situazione di incertezza (oggettivamente impensabile per un sessantenne), ma almeno accettare l’idea di cominciare a dare sturmenti di decisione e indirizzo alle persone che, per età e qualità, sono esponenti e comprendono le regole e gli schemi di questo nuovo mondo. Molte delle leve decisionali devono essere offerte ad esponenti delle nuove generazioni, e più in generale rapporti di fiducia e di parità completa tra le generazioni devono instaurarsi in tutti i processi negoziali che ridisegnano politiche e idee per gli anni che verranno, a tutti i livelli e in tutti i settori.
 
Questo è il patto in cui crediamo, laddove esista davvero il desiderio di rivitalizzare la nostra regione e il nostro paese.
 
Paternalismi, diffidenze e gavette obbligatorie devono essere lasciate alle spalle. Esiste una generazione, formata e intraprendente dietro il velo dell’incertezza, per la quale il futuro ha senso viverlo solo laddove cominci sin da questo esatto momento.

Salvatore Scalzo
Vincenzo Capellupo
Presidenza Associazione ULIXES
www.associazioneulixes.org


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