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E il sindaco affermò: “Ecco le chiavi dell’integrazione”

E il sindaco affermò: “Ecco le chiavi dell’integrazione”

BADOLATO. E' la storia di un piccolo borgo della costa ionica calabrese che è riuscito a trovare nell’immigrazione una risposta allo spopolamento territoriale, dando vita ad una esperienza d’accoglienza e solidarietà umana unica. Un modello di “convivenza possibile” di cui hanno fatto tesoro altri paesi del litorale ionico

E De Gasperi disse: “Imparate le lingue e partite”

 

Badolato superiore è un piccolo borgo medievale arroccato su una collina, con evidenti scopi difensivi, come testimoniano la cinta muraria e il castello del XII secolo che fungeva da punto di avvistamento contro le invasioni dei Saraceni e dei Turchi che afflissero la Calabria per tutto l’Alto Medioevo.

Già, i Turchi. Proprio dalla Turchia e dall’Iraq provenivano i 266 kurdi che, il 24 Agosto del 1997, sbarcarono sulle costa di Badolato. I mezzi d’informazione gridarono immediatamente all’invasione, questo piccolo paese balzò improvvisamente agli onori della cronaca. La questura entrò in allarme, mentre dal Viminale arrivavano precise indicazioni: non accogliere eventuali richieste di asilo e procedere rapidamente con le espulsioni.

Tre mesi prima, circa 200 kurdi sbarcarono nella vicina Guardavalle, 30 di loro chiesero asilo politico al governo italiano dichiarandosi perseguitati in fuga. Tutte le domande furono respinte. Ma quanto accadde a Badolato non ha niente a che vedere con le preoccupazioni e  il clamore mediatico che lo sbarco suscitò sulle colonne dei grandi quotidiani o nei salotti televisivi.

I rifugiati di Badolato (oltre ai kurdi c’erano anche pakistani e cingalesi per un totale di circa 460 immigrati asiatici), sembrano suscitare allarme più nelle sedi istituzionali e di partito che nella popolazione del luogo.

In questo piccolo paese, dove di certo i problemi non mancano, iniziò una vera e propria gara di solidarietà. Il 26 dicembre del 1997, è un momento decisivo nella storia del paese: la “nave” Artat, che trasportava in condizioni disumane 836 persone approda a Badolato: fu il più grosso sbarco mai avvenuto nel sud Italia. In quell’occasione i profughi maschi furono alloggiati provvisoriamente nella scuola media di Badolato superiore mentre le donne e i bambini trovarono ospitalità in un campo della vicina cittadina di Soverato.

Com’era accaduto in occasione del primo sbarco ci furono grandi manifestazioni di solidarietà che trovarono il loro apice, in occasione del 31 dicembre, pochi giorni dopo lo sbarco, quando gli abitanti di Badolato offrirono, ai kurdi che professavano la religione musulmana, il Monastero, una delle chiese più importanti del paese, affinché  potessero festeggiare l’inizio nel nuovo anno. Terminata la fase della prima accoglienza nacque il progetto  “O focularu, the home project” del comune di Badolato insieme al Cir (Consiglio Italiano per Rifugiati). Viene stanziato un finanziamento di un miliardo e mezzo di lire con il quale il comune avrebbe dovuto acquistare 20 alloggi da ristrutturare e dare agli immigrati.

Il sindaco di allora, Gerardo Mannello, in accordo con il consiglio comunale, decise di chiedere ai cittadini badolatesi la disponibilità delle case abbandonate del borgo per ospitarvi le famiglie kurde: vennero consegnate 80 chiavi. Tredici famiglie kurde scelsero di restare. Ebbe così inizio la convivenza fra italiani e rifugiati, kurdi e non solo, in piccolo paese del sud Italia che da allora viene chiamato scherzosamente “kurdolato”.

Da quel momento si instaurò una convivenza pacifica fatta di scambi, di contaminazioni e di rispetto reciproco. I bambini kurdi hanno frequentato le scuole imparando prestissimo l’italiano. Ma anche tra gli adulti vi è stato una grande sforzo comunicativo che ha portato alla nascita di una specie di lingua franca. Alcuni di loro cominciarono a lavorare nell’agricoltura e nell’edilizia. Inoltre l’amministrazione locale promosse alcune iniziative comuni come l’apertura di un ristorante “L’Artat”, appunto, e diverse manifestazioni nei comuni della zona che mescolavano cultura e cucina kurda con quella calabrese. Uomini e donne che restituivano a nuova vita un borgo altrimenti spopolato. Perché all’arrivo della nave Artat, Badolato contava 500 abitanti, per lo più anziani. Le ragioni dello spopolamento vanno ricercate nelle ondate migratorie che hanno visto i badolatesi trasferirsi prima nelle Americhe e poi nei paesi del Europa Continentale e del nord Italia.

Ma sono anche da attribuirsi alla politica di edilizia popolare intrapresa dalle varie amministrazioni comunali successivamente all’alluvione che ha colpito il paese nel ’51.

Già nel ’47 un violento terremoto aveva spinto alcune famiglie a trasferirsi verso la marina. Ma sarà l’alluvione a segnare un momento decisivo nello spopolamento di Badolato superiore.

In quell’occasione gran parte degli abitanti abbandonarono il paese, che per la circostanza venne visitato dal Capo dello Stato, Alcide De Gasperi. Dopo aver visitato gli altri paesi del litorale ionico interessati dall’alluvione (Isca, S.Andrea,Soverato), De Gasperi giunse a Badolato per la consegna, alla marina, di 78 alloggi destinati agli alluvionati.

La cronaca e la leggenda vogliono che in quel viaggio invitasse contadini e braccianti a imparare le lingue straniere e a cercare lavoro altrove, in Svizzera, nelle città del nord Italia, nel Canada o in Australia. Questo episodio assume le caratteristiche del mito, il mito dell’abbandono dell’antico borgo, se non altro per la precisione con cui quelle parole trovarono attuazione.

Infatti, a partire dagli anni ’50 in poi, mentre il paese conosce un importantissimo movimento contadino per l’occupazione delle terre (è il periodo degli scioperi a rovescio), per oltre un ventennio si svilupperà un fenomeno migratorio massiccio che porterà i badolatesi in Svizzera, dove esistono comunità di centinaia di persone come nel caso della cittadina di Wetzikon (“la seconda Badolato), a Rho in provincia di Milano, in Germania e in Argentina. Probabilmente, la motivazione che spinse i badolatesi ad un gesto di tale umanità nei confronti dei rifugiati, risiede proprio nell’aver vissuto sulla propria pelle il dramma dell’emigrazione, nel vedere amplificati, negli occhi degli immigrati il dolore di se stessi o dei loro familiari.

Tuttavia, “l’esperimento Badolato” non ha retto con il passare degli anni sia perché il progetto migratorio dei kurdi puntava alla Germania dove la loro comunità è molto radicata, sia perché non si riuscirono a creare le effettive condizioni occupazionali per oltre 400 profughi.

Ma il gesto spontaneo di questo piccolo paese è stato il primo e per lungo tempo l’unico in Italia. Badolato continua ad essere un punto di riferimento per tutti i rifugiati e richiedenti asilo.

Il Cir ha aperto da anni una sua sede nel paese. L’eredità di questa grande lezione di umanità e convivenza possibile è stata raccolta da altri paesi in Calabria: Riace, Caulonia e Stignano sono tra i comuni che hanno compreso che essere solidali, oltre a determinare una crescita culturale e sociale per un territorio, può creare un valore economico in luoghi altrimenti destinati allo spopolamento. Sulla base dell’esperienza maturata a Badolato e nei paesi della Locride, la Regione Calabria si è dotata di una legge regionale per promuovere l’accoglienza e l’inserimento dei rifugiati e dei richiedenti asilo.

Unica legge nel suo genere in Italia è stata definita dall’Alto Commissariato per i Rifugiati “un modello da seguire nel Paese e un riferimento per una legge nazionale”, che ancora manca. Storie di accoglienza e solidarietà, in un paese in cui il presidente del Consiglio afferma candidamente di non volere una Italia multietnica. Storie di uomini e di luoghi a poche centinaia di chilometri da Rosarno. Storie di vita vissuta da cui tutti, in primo luogo i nostri governanti, dovrebbero trarre insegnamento.


Giornalista Pubblicista. Dottore magistrale in Comunicazione Multimediale all'Università degli studi di Perugia. Ha lavorato per due televisioni calabresi, 7Gold Calabria e Telespazio Calabria e per il quotidiano "Il Domani della Calabria". Da Aprile 2010 collabora con il blog journal Terramara.it

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