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Cinema. “La Slitta” di Emanuela Ponzano. La condivisione ritrovata

Cinema. “La Slitta” di Emanuela Ponzano. La condivisione ritrovata

Emanuela Ponzano è un’ottima “artigiana” del teatro e del cinema italiano: ha lavorato come attrice in molti “luoghi artistici” e questa è la sua seconda direzione cinematografica dopo Riflessi. In questo cortometraggio oltre la regia prende parte anche come attrice nel ruolo della madre del bambino al centro della storia.

img_6463-la-slitta-sceneGià selezionato in numerosi Festival tra cui  la 70esima edizione dei Nastri D’Argento SGNCI, Il cortometraggio, prossimamente, tra tanti luoghi prestigiosi, verrà proiettato al  69 Festival Int.le di Cannes – Short film Corner e a Bogota al Festival Derechos Humanos IFF in Colombia.

La slitta racconta di una famiglia difficile-spaesata  in un piccolo villaggio tra le montagne del Nord Italia: storia di Alfred, nove anni, che vive con i suoi genitori stretti in una coppia asfittica ed impaurita da qualsiasi estraneità, forse anche a causa dell’isolamento in cui vive.  Padre (Ivan Franek), madre (Emanuela Ponzano) e  figlio (Riccardo Specchio),  formano una famiglia che riflette la durezza, l’austerità e la  freddezza  dei luoghi, il cui rifugio materiale diviene per loro figlio  isolamento emotivo, unica possibilità di fuga da quella realtà.

La rottura del bambino con l’ordine dell’autorità paterna lo porterà, nella fuga da casa, a “smarrire la via e trovare una strada”.

Questa è l’incontro con una slitta ed il suo proprietario, un coetaneo straniero.

Questa piccola e delicata storia crediamo sia il modo migliore di segnare l’integrazione e l’alienazione con la capacità di raccontare, in un corto sia pur con palesi metafore–una slitta didascalico vettore di un “romanzo di formazione” e di condivisione – i futuri uomini che tentano di sfuggire alla condizione di infelicità che li lega alla propria Storia, alle loro storie di vita.

In un luogo apparentemente spurio in cui si plasma l’identità di un soggetto, la montagna, con tutti i suoi dislivelli, sembra una terra di confine malata ed insonne anche nella inquietudine dell’anima dove s’insinua il germe dell’intolleranza, in cui i bambini si confrontano solo attraverso i pregiudizi dei genitori o del Paese. Quando gli invisibili, diventano visibili e «invadono» piccole comunità, perché proprio come una invasione viene percepita la presenza degli stranieri, la popolazione autoctona – che a sua volta è stata gente emigrante – alza un muro tra sé e gli ospiti, quasi a voler rifiutare qualsiasi forma di comunicazione. La forma e sostanza del silenzio della capace regia-racconto sottolineano l’immobilità e la stasi di questo posto, dove l’attesa è una filosofia di vita. Kairos che riflette pienamente parte del macrocosmo europeo.

L’oggetto, il gioco che dà il titolo al Corto, tra le maglie di una narrazione realistica, fa scivolare via della propria marginalità, della propria esclusione “lo straniero”che con la condivisione spezza la propria condizione di diverso, in cui è possibile esprimere qualche segno di vitalità costruttiva e di sensibilità,

Un tentativo intelligente e riuscito questo della regista anche grazie ad una particolare coralità  degli interpreti, accompagnata dalle soluzioni visive della fotografia di Giuseppe Maio e dalla colonna sonora firmata da Teho Teardo.

Immagini evocate  che ci fanno aprire gli occhi e gettare lo sguardo su una piccola storia di grande suggestione fra le piaghe di un mondo «miserabile» dove spiccano le “fanciulezze individuali” che con diversità  s’incontrano in sfumature morbide e dure capaci poi forse di “slittare” verso una futura umanità.

il trailer https://vimeo.com/143639478


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