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Costruiamo un’altra scuola

Costruiamo un’altra scuola

LAUROPOLI – Stretta nella morsa tra pubblico e privato, schiacciata dagli interessi crescenti del mondo delle imprese che ci chiedono di sfornare sudditi pronti a subire forme inumane di sfruttamento nel mercato della precarietà, l'istruzione sembra orientata a farsi sempre più corpo separato e sempre meno bene comune. Ribelliamoci.

Negli ultimi dieci anni la scuola pubblica è stata oggetto di trasformazioni e cambiamenti imposti dall’alto che non ne hanno comportato un miglioramento qualitativo. Stretta nella morsa tra pubblico e privato, schiacciata dagli interessi crescenti del mondo delle imprese che ci chiedono di sfornare sudditi pronti a subire forme inumane di sfruttamento nel mercato della precarietà – e non più cittadini capaci di rispettare doveri e rivendicare diritti – in generale la scuola sembra orientata a farsi sempre più corpo separato e sempre meno bene comune.

I diversi governi hanno emanato riforme che tendono a tagliare  i posti di collaboratori e insegnanti, ridurre le risorse economiche disponibili, cancellare la funzione inclusiva della scuola e il ruolo stesso dei docenti.

Di fronte a questo costante depauperamento, oltre che adottare forme classiche di lotta, noi docenti possiamo cominciare a strutturare meglio l’analisi della realtà in cui lavoriamo; provare cioè a chiederci in quale misura le nostre attività curricolari (ed extra) vadano nella direzione di affrontare e risolvere le problematiche che il territorio presenta. Preso atto che all’interno di queste presunte riforme degli ultimi anni è stato considerevolmente ridimensionato il grado di autonomia reale che le singole scuole esercitavano nella gestione delle risorse economiche, non possiamo più esimerci dal proporre una forma partecipata di bilancio, in cui le diverse voci di spesa siano commisurate ai bisogni reali di quanti nella scuola operano, insegnano e imparano.

A  volte, invece, a questo progressivo impoverimento delle già misere risorse disponibili, erroneamente rispondiamo attuando scelte di sacrificio che finiscono per svilire la nostra stessa condizione lavorativa. Dopo aver dovuto digerire l’imposizione dell’effettuazione e correzione delle prove Invalsi, non previste dal nostro contratto nazionale, in tempi recenti è sempre più frequente la richiesta alle famiglie di un obolo per la riproduzione del materiale didattico (le fotocopie!) o addirittura la mancata retribuzione aggiuntiva dei docenti che accompagnano le classi nei viaggi d’istruzione, come se l’assunzione di responsabilità fosse un hobby, e il tempo che rubiamo alle nostre esistenze una tangente che dobbiamo pagare in cambio della presunta posizione di “privilegiati”.

Non possiamo far finta di non sapere che queste nostre scelte di “sacrificio” comportano dei rischi. Anzitutto, si svilisce la natura stessa dell’insegnamento. Inoltre, in piccole dosi si introduce anche nella scuola la perversa logica del servizio pubblico a pagamento, che da anni già stiamo misurando in un settore nevralgico come la sanità. Spesso ci viene raccomandato il rispetto del principio di responsabilità nel garantire il servizio, costi quel che costi, anche quando ciò non sarebbe possibile. Ma così nascondiamo alle famiglie dei nostri alunni la situazione di disagio in cui operiamo, rasentando l’omertà. E ci lasciamo dominare da una forma di pudore ancestrale, irrazionale, ingiustificato.

È possibile opporsi alla distruzione della scuola pubblica? Sì, è possibile farlo, in due modi: ribellandoci, e al contempo costruendo un’Altra scuola, fondata sull’umanità, e non sulle logiche aziendali imposteci dai governi di centro-destra e centro-sinistra. Pensiamo, per esempio, alle attività spontanee che ognuno di noi, nel proprio piccolo, svolge a scuola in base a passioni, relazioni e attitudini.

Nessun criterio meritocratico potrà mai quantificare il valore culturale della nostra azione né ricompensarci per le energie che impegniamo nelle classi, e fuori. Stabilire dei criteri di equità nella ripartizione delle risorse, tra le diverse componenti della nostra comunità scolastica, sarebbe una prima, importante, forma di resistenza nei confronti del tentativo d’imporci la separazione tra insegnanti di serie A, serie B e serie C.

Si tratta, in sostanza, di bloccare sul nascere le conseguenti, odiose, differenze in campo salariale, che tutti possiamo prevedere.

Sarebbe veramente grottesco farci la guerra l’un con l’altro, per l’accaparramento dei pochissimi spiccioli che lo Stato destina alla categoria lavorativa più vituperata degli ultimi anni: i docenti!

Si propone dunque che questo collegio dia al consiglio d’istituto un indirizzo preciso per stabilire delle priorità in sede di programmazione finanziaria del bilancio 2011-12, destinando le risorse disponibili per il Pof in base a due criteri:

1) Abbattimento della quota per gli incarichi extradidattici.
2) Reperimento di fondi per le attività didattiche secondo un criterio di priorità: (A) acquisto di materiali scolastici e produzione di fotocopie. (B) retribuzione dei docenti impegnati nella sostituzione del personale assente. (C) contributo per gli alunni e le alunne provenienti da famiglie disagiate, in occasione di visite guidate e viaggi d’istruzione. (D) specifici capitoli di spesa per la retribuzione del personale docente che accompagna i ragazzi e le ragazze in gita. (E) acquisto dei materiali necessari allo svolgimento delle attività previste dai progetti.

Si propone altresì che all’interno del Pon, del Por, o di qualsiasi altro programma straordinario d’intervento, siano programmati interventi specifici di contrasto della dispersione scolastica dei ragazzi provenienti da famiglie disagiate e/o segnate da fenomeni criminosi.

Quanto è stato già fatto è importante, ma non basta! Occorrono concrete misure d’intervento che coinvolgano quei ragazzi e quelle ragazze che non riusciamo a riportare tra i banchi di scuola e che meritano metodologie, sensibilità, modalità d’approccio, nonché forme della didattica, NON CONVENZIONALI.

5 maggio 2011


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