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La squadra non vince, la crisi è servita: i tifosi contestano la società

La squadra non vince, la crisi è servita: i tifosi contestano la società

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Stadio Ceravolo, tribuna centrale

AL DIAVOLO i luoghi comuni: la serie D non è uno spettro, come qualcuno comincia a sussurrare, ma un rischio serio da tenere presente con altrettanta seria considerazione, visti i risultati in campo (5 sconfitte su 6 partite).

E c’è un altro non luogo comune da tenere presente: il Catanzaro è in piena  crisi. La squadra che tra gli anni ‘60 e ‘90  diventava un po’ il simbolo del profondo sud italiano capace di riscattare la sua stereotipata apatia sociale a suon di gol, quella che affrontava sfide sulla carta impossibili contro gli “squadroni” del Nord per regalare sorrisi a migliaia di emigranti, oggi sgobba affannosamente in Lega Pro (un tempo serie C) alternando direttori sportivi, allenatori, calciatori e relativi progetti con il solito sogno in tasca: tornare a calpestare l’erbetta (sintetica e non) del cosiddetto calcio che conta.

 Il club giallorosso è in crisi e i tifosi non sono affatto contenti.

Il Catanzaro non “si sta portando avanti”, come recitava la strofa di un’allegra canzone in voga ai tempi della Serie A. No. Il Catanzaro galleggia quasi immobile in terza serie e quest’anno, dopo sei giornate di campionato, lo potete trovare in fondo alla classifica del girone meridionale con appena tre punti. Lo allena Mario Somma, uno a cui l’esperienza non manca (da giocatore prima e allenatore poi) e che potrebbe pure riuscire a fare qualcosa di buono, se non fosse che è già il terzo allenatore a sedere in panchina per la stagione 2016/17. Somma ha preso il posto di Alessandro Erra, esonerato nel bel mezzo del ritiro estivo nonostante la conferma quasi a furor di popolo guadagnata alla fine della scorsa stagione, e più precisamente del suo vice, Giulio Spader, promosso dal settore giovanile e immolato sull’altare del caos per una decina di giorni, giusto il tempo necessario per perdere il derby con il Cosenza (avversario al primo turno per un cinico scherzo del calendario) e rientrare nei ranghi per far posto al nuovo tecnico.

Giuseppe Cosentino, proprietario della Gicos, grossa azienda di import-export cresciuta facendo affari con la Cina, guida la società dal 2011. Il suo Catanzaro è nato sulle ceneri del Football club, fondato cinque anni prima dopo il fallimento dell’Us Catanzaro 1929 e fallito anch’esso al termine di una annata sportiva che passerà alla storia come la più misera del calcio catanzarese.

Giuseppe Cosentino a bordo campo nel 2012

Giuseppe Cosentino a bordo campo nel 2012

Partito alla grande con una squadra confezionata in fretta e furia da Angelo Sorace e guidata da Ciccio Cozza (promozione in Lega Pro 1), oggi è oggetto di contestazione permanente da una parte della tifoseria (guidata dagli Ultras) e più in generale di scetticismo, malumori, mugugni e critiche. Era considerato “UNO DI NOI”, una sorta di salvatore della patria locale cresciuta mangiando pane e pallone sbucato quasi dal nulla che (con l’appoggio di una certa politica di centrodestra) era arrivato sui Tre colli a promettere dignità e nuova gloria dopo anni polverosi di terza e quarta serie. È finito col mangiar allenatori come uno Zamparini formato tascabile. Per non dimenticare: il traghettatore Fulvio D’Adderio (preso a tre gare dal termine dopo l’esonero di Cozza), Oscar Brevi (che per la verità ha preferito salutare piuttosto che accettare la conferma), Checco Moriero (esonerato pure lui in fretta e furia), Stefano Sanderra (esonerato) e Massimo D’Urso (ex vice di Cozza rimpiazzato in corsa da Erra la scorsa stagione). Ha azzerato e ricominciato programmazioni, ridisegnato staff tecnici e dirigenziali , il tutto all’insegna di una gestione oculata che alla lunga perde qualità e si impoverisce di soddisfazioni.

La contestazione dell’ambiente era nell’aria già da un paio d’anni, ma adesso sembra irreversibile. A Catanzaro non è certo una novità, se i risultati non arrivano, perché a Catanzaro il tifoso esige programmazione, passione e… vittorie. Come ogni dannato, innamorato, inguaribile tifoso che ha una squadra di calcio scolpita nel cuore, solo che  a Catanzaro vincere nel calcio per tanti è un po’ come vincere nella vita di tutti i giorni. striscione ultras anti cosentino

Io di contestazioni negli ultimi 30 anni (e passa) ne ho viste e raccontate tante, praticamente tutte, da quella che fece scappare Adriano Merlo (e signora) in poi. Ero in prima linea ai tempi di Pino Albano, tempi in cui la domenica pomeriggio stavo a cavalcioni sulla transenna centrale della Ovest. Ho visto pure il relativo calo d’interesse collettivo che accompagna ogni retrocessione, ogni cocente delusione. Drammatico quello attuale, con il popolo giallorosso ridotto a 718 abbonati e 1.000 paganti circa a partita (derby esclusi).

Pur sommando gli ingressi di favore restiamo a cifre ridicole per una piazza calcistica affamata di grande calcio. e di una società solida che garantisca la realizzazione del sogno di sempre (la promozione). Giuseppe Cosentino ha stabilito subito una certezza che da queste parti mancava da una vita: la solidità economica. Tradotto in soldoni: iscrizioni regolari al campionato, stipendi regolarmente pagati, tasse e contributi a posto. senza mai perdere di vista il portafoglio, cosa che personalmente ho apprezzato perché il calcio moderno che spreca non mi piace e qui, a Catanzaro, di calcio sprecato ne abbiamo davvero vissuto troppo.

Peccato però che per fare buon calcio spendendo il giusto è necessario avere una elevata capacità di saper scegliere, puntare su tecnici e giocatori idonei al tuo progetto, perché va bene programmare la B in cinque anni se si ricomincia da zero (perché a livello zero eravamo scesi l’annus horribilis di “Tribuna Gianna”, Ze Maria e Mpasinkatu), ma rischi realisticamente di non riuscirci se ogni estate cambi allenatore e l’intera rosa.

Cosentino incassa critiche e malumori tirando avanti per la sua strada, al Ceravolo non segue più la partita in tribuna centrale o a bordo campo, ma sta in un angolo del settore distinti (ancora chiuso al pubblico per lavori in corso) e a fine gara va via senza passare dalla sala stampa. I giorni in cui mister Gicos faceva mezzo giro di stadio raccogliendo applausi sembrano uscire da un album dei ricordi consumato. L’immagine del club è affidata alla figlia Jessica (vicepresidente in carica insieme alla sorella maggiore Ambra) e Antonello Preiti, ex d.s. della Paganese con trascorsi al Parma a cavallo del recente fallimento con Ghirardi. È toccato a lui mettere la faccia domenica scorsa alla fine del match perso con il Messina in casa, un atto da parafulmine di chi sa che il maltempo minaccia tempesta.

Sotto la curva?

Sotto la curva?

Intanto corrono voci, le solite in casi di questo genere. Voci di presunte offerte e trattative imminenti o addirittura già avviate che vedono coinvolti svariati personaggi attorno all’eventualità che la famiglia Cosentino possa cedere, nonostante le smentite affidate a mezzo stampa. Chiaro è che la cessione, se sarà, ha un prezzo e si aggira (al momento) attorno al milione e mezzo d’euro. Altrettanto chiaro è che se uno vuole vendere perché crede di non avere più voglia di investire nel calcio, mette in vendita. Se poi c’è chi vuole comprare, prende corpo e fa l’offerta. Ma sono solo voci e al Catanzaro adesso serve altro. Serve capacità in società e calore sugli spalti. Servono punti come il pane ad Agrigento, prossima stazione di un torneo in stile naca. Serve concretezza e attenzione, tanta attenzione. Perciò spazzate via la crisi in fretta, perché chi segue le Aquile sa bene che la crisi porta sempre tempesta. Là in fondo c’è la serie D ed è un rischio che non ci possiamo permettere.

Ivan Montesano


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